L’istituto "Rispoli Tondi" di San Severo ha avuto il piacere di ospitare l’attore Corrado La Grasta, che ha inscenato i sogni e le speranze perdute di un bambino inverosimilmente vissuto durante le persecuzioni naziste.

In data 12 febbraio 2019, in occasione dell’Assemblea d’Istituto, la palestra del Liceo Scientifico "Checchia Rispoli" ha fatto da palcoscenico a una rappresentazione interpretata e scritta nel 2006 da Corrado La Grasta, fondatore dell’associazione culturale “Teatro dei Cipis”di Molfetta.

Adoperando una scenografia minima, e conquistando l’attenzione del pubblico con il suo talento e le sue capacità narrative, La Grasta ha raccontato l’orrore e la crudeltà dei ghetti nazisti attraverso gli occhi di un bambino ebreo,  testimone di gravi  episodi che segneranno per sempre la sua vita. C’è però qualcosa che lo sostiene e mantiene viva in lui la speranza: la sua fortissima passione  per il calcio e il sogno di poter essere, un giorno, finalmente libero di giocare come i campioni che ha sempre ammirato.

La storia comincia proprio con il racconto di un esemplare atto di coraggio: ci troviamo nel ghetto di Terezìn. Qui, nella realtà rigida e terrificante propria di un ghetto, descritta dal punto di vista di un bambino innocente, lui e la sua passione per il calcio trovano rifugio in un edificio in cui, dopo il lavoro, gli adulti portavano ragazzi e bambini per insegnare loro a disegnare, cantare, giocare, divertirsi e soprattutto a vivere, nonostante la paura e l’odio sprezzante a cui erano quotidianamente sottoposti. In questo luogo, grazie alla sua passione, non smette di sognare e di sperare in un futuro migliore.

Ma ad Auschwitz tutto cambia. Assiste alle morti più atroci e piano piano, per sopravvivere, lascia che la sua anima si svuoti di umanità perdendo i suoi sogni e la sua passione per il calcio.

Come ha poi spiegato La Grasta, questi episodi sono realmente accaduti: il ghetto di Terezìn è stato tristemente famoso per la massiccia presenza di bambini, mentre per quanto riguarda la partita della domenica dobbiamo riferirci a Primo Levi.

Attraverso il filo conduttore del calcio e gli occhi del protagonista fittizio, si è figurata una limpida e schietta testimonianza di ciò che significava vivere nei campi di concentramento. Ha contribuito molto anche la modalità di rappresentazione, che ha adottato la tecnica del teatro di narrazione: magra scenografia per focalizzare l’attenzione del pubblico esclusivamente sull’imponenza del racconto verbale, che è riuscito nel suo intento e che ha provocato un significativo e caloroso applauso da parte di tutti i presenti alla fine del racconto.

                                                                                                    Francesca Quagliarella
                                                                                                    Claudia Checola
                                                                                                    Alessandro Dipierro
                                                                                                    IV B Liceo scientifico